venerdì 18 novembre 2011

L'arte perduta del ringraziamento

Un post di getto.

Perché ti isoli dal mondo per una settimana causa superscadenza, e quando torni fai una scoperta. Ti accorgi che a volte le favole si avverano. Hai segnalato, per caso, un'opportunità a un' "amica virtuale", conosciuta via blog. E lei non solo l'ha colta, ma ti ha anche ringraziato a caratteri cubitali.

Non posso stare troppo a scrivere, la superscadenza non è ancora scaduta. :-) Ma ringraziare Beki, e invitarvi al suo blog (Adesso che faccio?), beh... era doveroso. Perché dopo una giornata divisa equamente fra lavoro e travasi di bile al leggere certe opinioni imbecilli, fa bene vedere che le favole si avverano. Che le opportunità ci sono. Che anche una frase detta per caso può fare la differenza. E che, soprattutto, c'è ancora chi conosce la delicata arte del ringraziare.

Buon weekend a tutti! Qui è già Natale, e fra le superscadenze e le seccature preparo un post "luminoso"...

P.S. Titolo rubato ad Eva Rice, "L'arte perduta di mantenere i segreti". Very British, e pieno di spifferi - ma perfetto per la stagione fredda.

giovedì 10 novembre 2011

Dopocena a Colazione - da Tiffany

Prometto di non parlare del Gatto, della pioggia, di Moon River e di Givenchy e di quanto era vestita bene Audrey - anche perché in Sabrina e in Sciarada secondo me era vestita meglio.

Il vantaggio di rivedere un film per la, credo, terza volta almeno (se contiamo solo quelle intere) è che noti i dettagli. E cominci a mettere in discussione la trama.
Cioè, lui passa metà del film a farle la paternale. Con quale diritto, non si capisce bene, visto che svolgono due leggere varianti dello stesso mestiere più vecchio del mondo. Mi irrita profondamente la disequazione fra i due: Paul è dipinto come il sano, il normale. Eppure, oh!fino a venti minuti dalla fine fa il mantenuto. E si offende quando Holly, disperata, mollata per l'ennesima volta, dopo una notte in prigione, si rivolta contro alla sua sgridata condita da proposta di fidanzamento. Relax, ragazzo.

E poi ti accorgi delle singole battute; e quando mademoiselle dichiara di essere "grassa come un'oca, e non sapere che cosa sia un parrucchiere", mentre ha l'aspetto di cui qui sotto, tu, che nonostante l'impegno sei ad anni luce da lei, ti scocci un tantinello. E ti sfoghi mangiando patatine, così almeno le assomiglierai in dichiarata grassezza.



Il vantaggio è che sei uscita con le amiche, e una girls' night out non ti capitava da secoli. Sono quelle serate che dovrebbero essere incluse nella Convenzione di Ginevra. Vestirsi bene, uscire in mandria, guardare e deridere i pochi uomini presenti: un terzo gay palesi, metà trascinati dalle fidanzate, pochi residui appassionati di cinema d'antan. Borbottare insulti irripetibili ai tamarri che fotografano lo schermo, col flash, durante la scena iniziale. Parlare dei fidanzati. Una sera con le amiche è una di quelle cose come Tiffany: non ti può succedere niente di brutto. Le vostre quali sono? I miei altri luoghi-zen: Milano, dove pure spesso sono stata triste, ma è una tristezza che scordo; la sera dopo il tramonto.

Piccola nota di chiusura di una Satura molto fiera: guardate la libreria sullo sfondo in questi fotogrammi. Quanto assomiglia al template di questo blog?


mercoledì 9 novembre 2011

Dal mal di pancia al male di vivere

Questo pezzo l'avevo scritto un paio di mesi fa, e mai pubblicato. Nel giorno della caduta del governo - a proposito, ma cade?accetto scommesse - in virtù dei Malpancisti, mi pare carino proporvelo.

Lo so, lo so. Che vi state già piegando in due alla ricerca di improbabili spiegazioni. Ma la soluzione è una, e semplice: ho passato l'intera giornata di ieri (5 settembre, ndr) in preda a un assurdo dolores de panza - e sì, anche de sostanza, nel senso che faceva male parecchio. Oltre ad avermi fornito il tempo libero per decidermi, finalmente, a pubblicare, mi ha causato una serie di riflessioni fra il serio e l'allucinato. Di seguito, la cronaca di 24 ore di comunella fra neuroni ormai andati e visceri evidentemente iscritti a CGIL, e dunque in sciopero settembrino.

ore 3 a.m. (circa): mi sveglio. Di già? Che pizza, il caldo... ah, no, mi ha svegliato il mal di pancia. Bah, passerà. Mi rigiro.

ore 3.30: cribbio, non passa.

ore 4.15: porca miseria, ho l'appendicite.

ore 4.20: porca miseria. Non ho tempo per farmi operare di appendicite.

ore 4.30: fermi tutti. Tranquilli. L'appendice è a destra.

ore 4.31: o no?

ore 6.00: ehi, forse ho dormito! Però perché sono abbracciata a un cuscino e non ricordo di averlo preso?

ore 7.30: magnifico, ora ho anche la nausea. Provo ad alzarmi e curarla con un tè.

ore 7. 40: censura.

ore 8.30: inizia a fare prepotentemente caldo. Il che non è un bene, considerato che l'istinto mi suggerisce di stare sotto le coperte. Mi decido a raccontare tutto al Socio, appena chiamerà.

ore 9.30: telefonata col Socio. Si preoccupa più di me. Tenero. Awwww.

ore 10: controllo su Wikipedia dov'è l'appendice.

ore 14: non so come, ma ho dormito 4 ore, e ho anche un po' fame. Starà passando. Danza tribale di giubilo.

ore 14.30: ok, forse mangiare non è stata una grande idea. Il Socio propone consulto medico-familiare. Dopo breve resistenza, mi arrendo - anche perché inizio a essere seriamente perplessa.

ore 15: 12 ore in preda al mio demone interno. Responso: niente di grave, aspetta e passerà. Provo a studiare. Decido che è meglio dormire.

ore 18.30: sudata come un animale. E adesso il dolore è a destra. Va bene, stavolta sono preoccupata sul serio.

ore 19: rassicuro tutti al telefono. Appena metto giù, mi scatta il panico. 

Inutile raccontarvi il resto della giornata - evidentemente non sono morta, e sì, la mia appendice è ancora al suo posto. Ma chiudo chiedendomi: imparerò mai che chiedere aiuto non è un reato, o continuerò a comportarmi nel miglior stile del maschio al volante? Arrivata alle sette di sera avevo paura. Una paura folle. Ma non mi sono concessa di tirare su il telefono e piangere con nessuno. Perché, tanto, sapevo che non avrebbero potuto fare nulla, a parte dirmi di stare tranquilla - e allora, tanto valeva non farli agitare. Perché volevo proteggerli, non volevo che si preoccupassero. Sono una donna forte, o solo un'imbecille? Rispondete con tatto, please.

P.S. Perché tanto so che ve lo state chiedendo un po' tutti... sì, l'appendice è a destra. ;-)

martedì 8 novembre 2011

La banalità della perfezione

È stata una giornata perfetta. Lo pensavo domenica sera, seduta sul divano con il Socio a guardare la TV. E lo ripenso oggi, mentre la noia del martedì tesse la sua ragnatela pesante, e la voglia di lavorare sta sotto le scarpe.

Una giornata perfetta. Nonostante le notizie tragiche che arrivavano da Genova, dal Piemonte, dal napoletano. E nonostante non abbiamo fatto nulla di speciale.

Perfetta nella sveglia che non ho sentito, e che quindi mi ha lasciato riposare, ma mi sono comunque svegliata in tempo. Perfetta nel posto che ho trovato in chiesa, caso strano, nel mio frate preferito a celebrare. Perfetta nell'acquazzone che ho evitato per un pelo, entrando appena in tempo dal fiorista. Perfetta mentre me ne stavo in piedi sotto il portone, una borsa e un mazzo di fiori, ad aspettare lui mentre cercavo di non bagnarmi. Perfetta in un pranzo casalingo, in un pomeriggio pigro, in una lezione di danza. In una serata-divano-e-TV.

Quando sono tornata a casa, sono stata quasi contenta di non vedere nessuno; volevo tenermela ancora un po' per me, la mia giornata perfetta. Farla sciogliere piano piano in bocca come una caramella balsamica. Tenerla accesa a dispetto delle mille rogne di ogni giorno. Trovarle un posto sicuro, un angolino nascosto da cui tirarla fuori. Per riprenderla in mano nei giorni come oggi, e ricordarmi di quanto poco, in fondo, è necessario alla perfezione. FaziEditore mi ha appena segnalato una frase di Ennio Flaiano:  





Non sono d'accordo. Wonderland scriveva, qualche giorno fa: "Si diverte chi se lo concede". Forse, a volte, semplicemente non ci accorgiamo di quanto ci siamo divertiti, di quanto indimenticabile merita di essere quel giorno. Giusto per dirvi che domenica me ne sono accorta; prima o poi, imparerò a farci caso più spesso.

lunedì 7 novembre 2011

Ragnatele* e peccati

Confessione: adoro Manzoni. E Pirandello. E Jane Austen. E poi ogni tanto mi metto a leggere Sophie Kinsella & co.

Se non avete già chiuso il post, possiamo cominciare a rifletterci. Ci pensavo qualche mese fa, mentre leggevo questo libro - splendido peraltro, a parte l'assunto centrale. E ci ripensavo stamattina, mentre fissavo intensa la libreria e paventavo l'imminente inscatolamento: certi libri sono veramente inconfessabili, pena il bando dalla conversazione. E non se ne capisce il motivo: sarà che sono, come si dice al Nord, "una bastian contraria", ma le stimmate letterarie non le ho proprio mai capite.

Credo fermamente che ogni libro, anche il più apparentemente insulso o pesante, abbia un suo perché. Per me, per quel momento, per quella domanda che sto facendo alla vita. Voglio dire: ci arrivo da sola, che la prosa di Verga è più ricca di quella di Dan Brown. O che le riflessioni sulla vita di Foscolo possano essere, in media, un tantino più formative di quelle di Federico Moccia. Ma, amico mio, se ho fatto dieci ore al lavoro e mi aspetta un'ora di treno, Il diario di Bridget Jones è esattamente quello che ci vuole.

E per contro, amico mio n°2: non continuare a chiedermi "cosa caspita ci trovo" in Gozzano o nei Promessi Sposi. Prova a leggerli - e poi ne riparliamo. O a leggere qualunque altro "grande" della letteratura, che snobbi dai tempi della scuola solo perché è di moda snobbarli. Magari deciderai che Dracula è molto più vampiresco di Bella & Edward - e, fidati, anche molto più elegantemente erotico. O magari no, non sta a me dirlo. Ma tu provaci.

Più passano gli anni e le letture, più mi convinco che nessuno abbia il diritto di dire chi, cosa, quanto e quando bisogna leggere. Fra ogni libro e ogni suo lettore c'è una storia, assolutamente privata e molto più intima di tanti rapporti di coppia. Possiamo consigliare un'amica in amore, ma potremmo mai sancire per lei, al posto della sua capacità di scelta, chi è l'uomo che deve sposare? Appunto.

* le ragnatele sono, ovviamente, quelle che tolgo con questo post a due mesi esatti dall'ultimo. Con tante scuse ai miei... quattro? lettori :-)

mercoledì 7 settembre 2011

Benvenuti al Sud, bentornati al Nord

Per festeggiare una persona speciale, qualche mese fa ho fatto andata-e-ritorno in giornata da Salerno a Milano. 11 ore di treno (grazie, TAV, grazie!) e tanto tempo per pensare. E' stato bello, anche se strano, camminare all'alba sul corso di Salerno e a mezzogiorno vicino alla Madonnina. 

E accorgermi che non sono più solo lombarda, non sono - e forse non sarò mai - del tutto campana. Sono un bell'ibrido, ecco. Ma è un ibrido divertente, che cerca di mettere paradossalmente a frutto il meglio dei due mondi.

Tipo: chi si era mai accorta che a Milano c'è una succursale di una premiatissima cioccolateria di Napoli? Eccovela qui, in tutto il suo splendore plurisede - e, a proposito... consiglio, consiglio, consiglio!!! Willy Wonka probabilmente si è ispirato da qui.

Tipo: ma quant'è divertente esclamare "ma che ciorta!" per il semaforo verde mentre attraverso via Meravigli - e poi ritrovare la stessa espressione sconvolta sui visi dei salernitani quando, poche ore dopo, borbotto "dài, nanìn!" all'indirizzo di un altro semaforo?

Tipo che quando sono al Nord mi beo della gente che fa 2000 cose, che corre, che ha le giornate piene. E mi sento fra i miei simili. Ma ogni tanto apprezzo anche i ritmi blandi del Sud, il relax del dopopranzo, le 5-6 pause caffé al giorno. E poi, signori, diciamocelo: avere la Costiera a mezz'ora di auto, non ha prezzo (per pagare il parcheggio, se ti va bene, c'è Mastercard. Se no, un rene).

Tipo che, forse, sarò sempre un'anomalia: una salernitana iperattiva, o una lombarda rilassata. Però intanto va bene così, mentre mi preparo a chiudere la prossima valigia per l'ennesima trasferta. E' bello aver avuto la sensazione fisica che i miei due mondi possono convivere. Magari con qualche salto mortale e qualche occhiaia, ma possono.

martedì 6 settembre 2011

Io non sono quello che faccio

(ossia: perché Saturalanx)

Io non sono quello che faccio. Dovessi sintetizzare in una frase due anni e mezzo di vita, sarebbe questa*.

Sono stata una ragazzina, e poi una early-twenties, fedele. Fedele a poche idee ma ben certe, a uno stile, a un progetto di vita. Poi la vita ha cominciato a scombinare le carte. E io ho trovato il mio sistema ideale, ossia, appunto, Io non sono quello che faccio.

Intendiamoci: non è un'apologia del disinteresse, e nemmeno del volta-gabbana, anzi. Ma affezionarsi troppo a un'immagine di sé, beh... fa male alla salute. Qualunque sia quell'immagine: un sogno, un lavoro, un hobby, l'aspetto fisico. Se quel qualcosa in cui ci identificavamo crolla, ci sentiamo persi. Se, dopo averci buttato tutte le energie, l'entusiasmo passa, sembra che il nostro ideale ci abbia traditi.

E allora, via libera al trasformismo. Alla parcellizzazione. Che poi è il mio modo di mantenermi viva. Curiosa. Di staccare per qualche mese dagli hobbies, se vedo che ne ho abbastanza, e poi ricominciare. Di sognare un futuro diverso da quello che mi aspettavo, e riuscire pure a entusiasmarmici. Di meditare da mesi lo studio della cucina cinese, senza mai decidermi. Di decidermi, invece, ad aprire questo blog.

Io non sono quello che faccio significa smettere di considerarmi "studiosa" o "ballerina" o "tagliaquarantvariabile". Io sono tutte queste cose, e tutte queste cose sono me; ma nessuna predomina, e poche sono davvero indispensabili. Un piatto pieno, appunto: Saturalanx. 


* Direte: bella scoperta, a 28 anni. Beh, meglio tardi che mai. ;)

Iniziare un blog in una fase di superlavoro...

... è probabilmente l'idea migliore della mia non intelligentissima vita.


Comunque, alea iacta est. Il Piatto è in linea... vediamo di che si riempirà. :-)